Nel 2024 l’Italia ha visto un calo del 12 % nelle ore di contenuti originali italiani, scese a 658 ore, complice soprattutto una riduzione delle commesse dai grandi streamer.
La recente edizione del rapporto APA, presentato al mercato internazionale audiovisivo MIA di Roma, mette a confronto dati 2023–2024 e 2024–2025 rilevando: un aumento degli investimenti complessivi (+9 %, arrivati a 16,3 miliardi di euro) ma una contrazione nella produzione di contenuti originali italiani, dovuta soprattutto a tagli nelle commesse da parte delle piattaforme streaming e da operatori pay-TV. La fiction nazionale affronta una fase di selezione più rigorosa, puntando su titoli “viaggiabili” internazionalmente e sulla qualità rispetto alla quantità.
Analisi critica del dato: tra opportunità e rischio
Il dato del -12 % non è un dettaglio marginale, ma un segnale forte di un cambiamento strutturale: la produzione audiovisiva italiana sembra entrare in una fase di “selezione estrema”.
🎯 Qualità vs quantità
Negli ultimi anni si è privilegiato un modello spinto dalla domanda, dove molte commissioni si muovevano in base al bisogno del catalogo; secondo il report, ora il modello sembra virare verso un approccio “product-driven”, ossia premiare titoli con potenziale internazionale e forte identità.
Il ruolo degli streamer e del sistema tradizionale
Le piattaforme globali hanno ridotto le commesse locali: il report segnala un -29 % nelle commesse da streamer, -16 % da pay-TV e -8 % dalle reti in chiaro. Questo indica che le piattaforme stanno diversificando strategie: alcuni titoli italiani aumentano su Netflix (+4 % ore commissionate), mentre Prime Video riduce la fiction locale e sposta risorse verso show non scriptati.
RAI, dal canto suo, resta un pilastro fondamentale del sistema lineare e digitale nel panorama nazionale, continuando a sostenere la produzione interna con titoli ibridi che possono vivere sui due piani (linearità e streaming).
Tendenze emergenti: non solo fiction
Nel rapporto si evidenzia una crescita significativa del contenuto non scriptato (unscripted), in gran parte prodotto in-house. Ciò può essere visto come un modo per diversificare l’offerta, abbassando costi e rischi rispetto alla fiction ad alto budget.
Collegamenti e risonanze artistiche
La tensione fra quantità e qualità nel sistema audiovisivo italiano richiama dinamiche già viste in altri ambiti artistici, come nell’arte contemporanea o nella musica: la democratizzazione dei mezzi (piattaforme digitali) porta all’“iperproduzione”, ma può condurre anche a saturazione e pressione verso l’omologazione.
Da un punto di vista cinematografico, si possono evocare analogie con il passaggio da studi cinematografici forti (golden age) alla New Hollywood negli Stati Uniti: un sistema che perde centralità nella produzione e inizia a fare selezione, puntando su poche opere d’autore che possano attraversare confini.
Nel contesto europeo, la strategia italiana rispecchia quella di Paesi come la Francia e la Danimarca, che investono su titoli «viabili all’export», favorendo coproduzioni e identità culturale che risuoni anche al di fuori dei confini nazionali.
Scelte stilistiche, governance e quadro strategico
Uno degli snodi centrali del report riguarda le scelte di governance: il sistema degli incentivi, tax credit e bandi deve essere rapido, prevedibile e rigoroso, per sostenere i produttori indipendenti e permettere a progetti rischiosi ma innovativi di emergere.
Sul piano strategico, l’attenzione si concentra su:
- Selezione autorale: meno titoli ma con spessore narrativo, capaci di lasciare una traccia nei circuiti internazionali;
- Innovazione produttiva: uso di tecnologie, nuovi formati, ibridazione tra fiction e documentario;
- Identità culturale: progetti radicati nel contesto italiano, ma che parlino un linguaggio contemporaneo e universale — la “italianità” può essere un punto di forza piuttosto che un vincolo.
Pro e contro del quadro attuale
Punti di forza:
- Maggiore rigore selettivo che può premiare autori forti e progetti distintivi;
- Possibilità di internazionalizzazione: meno “momenti filler”, più titoli con appeal all’estero;
- Incentivo per il rafforzamento dei produttori indipendenti, che possono emergere con opere originali.
Rischi e debolezze:
- Il calo quantitativo può provocare perdita di spazi per talenti emergenti che non hanno ancora identità forte;
- Dipendenza dai grandi committenti (streamer, broadcaster) che possono cambiare strategia rapidamente;
- Rischio che “selezione” diventi “conservazione”: ovvero che si scelga sempre ciò che somiglia già a modelli vincenti, riducendo sperimentazione e discontinuità.
Giudizio finale e riflessioni
Il calo del 12 % nei contenuti originali italiani è un campanello di allarme plausibile ma non necessariamente tragico. Piuttosto che un fallimento, lo si può leggere come una fase di transizione: un sistema che si riorganizza, ridimensiona e tenta di puntare su qualità e internazionalità anziché su numeri puri.
Se la strategia sarà ben governata — con un ecosistema pubblico-privato che supporti la sperimentazione, con una politica degli incentivi stabile e con produttori capaci di pensare oltre i confini — questa svolta può essere una risorsa. Ma se invece il mercato diventerà troppo selettivo, potremmo assistere a un imbuto per chi non ha già reputazione: una certa “oligarchizzazione culturale”.
In definitiva, il rapporto APA al MIA non segna una sconfitta, bensì un bivio: l’audiovisivo italiano sta scegliendo se essere mero contenitore per commissioni o proposta culturale con ambizione internazionale.

