Chaplin: un’icona
A Natale di quest’anno saranno passati 48 anni dalla morte dell’attore statunitense. Il cinema muto la sua materia d’espressione: chi non ha mai visto almeno uno spezzone comico di Charlie Chaplin?
Chaplin, icona mondiale del cinema, non era, però solo muta comicità. I suoi girati erano pura critica al sistema capitalistico statunitense, tanto che nei primi anni Cinquanta fu vittima di maccartismo. L’attore era a Londra per la prima di “Luci della ribalta” e gli fu impedito di tornare negli Stati Uniti dal Procuratore Generale. Visse in Svizzera per due decenni. Nel ’72 venne insignito del secondo Oscar e il suo nome venne riabilitato. Il primo, ottenuto a fine anni ’20, lo aveva consacrato a livello mondiale. Entrambi i Nobel furono onorari.
La critica sociale
Ateo, accusato di essere filo comunista, il personaggio de “Il vagabondo” gli diede fama universale. Senza nome originalmente, in italiano tradotto come Charlot, fu il personaggio che lo fece conoscere a livello mondiale e che gli fece vincere il primo Oscar. In un panorama in cui il cinema muto andava scomparendo la scelta dell’attore di proseguire con la sua scelta diede dei grandissimi frutti.
In un’epoca pienamente capitalista, di boom economico e della nascita dei primi miliardari, il suo lavoro fu in contrasto con il modello americano. L’ironia, la vita quotidiana e gli stereotipi erano i suoi temi preferiti che utilizzò come attore e regista.
L’articolo sulla morte del Corriere della Sera
Estremamente riassuntivo e esplicativo è un articolo del Corriere uscito per la morte dell’attore.
«Aveva nel sorriso il pianto del mondo e nelle lacrime delle cose faceva brillare la gioia della vita. Toccato dalla grazia del genio era il guanto rovesciato della nostra civiltà, il miele e lo schiaffo, lo scherno ed il singhiozzo; era il nostro rimprovero e la nostra speranza di essere uomini. Testimone universale commosse e rallegrò i cuori di tutte le razze e latitudini, ovunque si celebrasse il processo all’iniquità, alla presunzione, al cinismo dei ricchi e dei potenti, ovunque dal dolore potesse scaturire la protesta del debole sopraffatto e il riscatto dell’umiliato. Uomini e donne di tutte le età e colore si riconobbero in lui, si contorcevano dalle risa e sentivano salirsi dentro pietà per sé stessi. Andavano per gioire e uscivano pieni di malinconia. Così fu, così è, così sarà sempre: il debole vilipeso, lo sconfitto irriso, la dignità dell’uomo calpestata dal soperchiatore e dall’arrogante, e il candore, l’innocenza fraintesi per ingenuità, e sono invece la forza del giusto: è qui la tragedia che si colora di comico, la farsa che si tinge di dramma. Il lungo viaggio di un pessimista europeo, con sangue gitano ed ebreo, carico di antichi dolori, compiuto per convincersi che tuttavia conviene credere nell’uomo; questo il transito di Chaplin, il senso della sua opera di artista universale.»
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, 27 dicembre 1977)
