Un’isola di buio e resistenza: come il cinema diventa atto politico
Il nuovo film di Gözde Kural, «Cinema Jazireh», è stato rifiutato dal Ministero della Cultura turco prima ancora di poter essere sostenuto. Un gesto che la dice lunga sul contenuto dell’opera, ambientata in Afghanistan ma capace di toccare corde profonde e scomode anche nel contesto turco contemporaneo. La pellicola – attualmente in competizione al Karlovy Vary Film Festival – affronta i temi dell’identità, della violenza patriarcale e del diritto a esistere in luoghi dove le donne, per sopravvivere, devono sparire.
La trama di «Cinema Jazireh»
Dopo aver perso la famiglia in un attacco dei talebani, Leyla è alla ricerca del figlio scomparso. Per sfuggire alla violenza, si traveste da uomo e attraversa territori devastati, incontrando un bambino rimasto intrappolato in un luogo dove i maschi devono travestirsi da donne. Un incontro che la porterà a confrontarsi con la sua identità, il dolore e un’umanità deformata dal silenzio e dalla paura.
Un cinema che attraversa il buio
Kural, già autrice del film «Dust» girato nel 2015 a Kabul, racconta un’Afghanistan fatta di città fantasma, scritte sui muri e spari in lontananza. Un paese dove, come afferma, «per essere invisibili, bisogna essere uomini». Ecco allora che la sua protagonista assume una doppia maschera: quella della sopravvivenza e quella della resistenza. Ma ciò che colpisce è il linguaggio fiabesco, cupo e surreale con cui la regista sceglie di trattare argomenti durissimi, evitando ogni forma di didascalismo.
Un’isola chiamata cinema
Il titolo stesso è un manifesto poetico e politico: «Jazireh» significa «isola» in persiano. Il cinema diventa per i personaggi un rifugio, una terra immaginaria dove ci si ritrova al buio, uniti da uno schermo che proietta sogni e memorie. Come in «Cinema Paradiso» di Tornatore, ma rovesciato in incubo. È qui che affiora uno dei dettagli più toccanti: la proiezione clandestina di «Titanic» in Afghanistan durante il primo regime talebano, tramite videocassette pirata. Per Kural, quel momento rappresenta la bellezza dell’esperienza collettiva del cinema, capace di creare comunità anche nella devastazione. «È quasi assurdo pensare che guardassero anche lì Titanic. Eppure li univa, li faceva sognare. Era resistenza.»
Una voce che sfida il potere
Il rifiuto del governo turco di supportare «Cinema Jazireh» è emblematico. Secondo Kural, il film non parla neppure della Turchia, ma ciò nonostante è stato bloccato. È un segnale chiaro: il potere teme ciò che non riesce a controllare. «In Turchia i numeri sugli abusi minorili crescono. Ma invece di affrontare i problemi, si preferisce censurare. Siamo tutte vittime dello stesso sistema,» dichiara la regista.
Estetica e politica: il cinema come arma
Il film è stato prodotto da Toz Film Production, Seven Springs Pictures e Kos Kos Films. A livello visivo, Kural lavora sulla sottrazione: paesaggi spogli, presenze evanescenti, suoni lontani, dettagli di un mondo in rovina. La sua estetica si avvicina a quella di autori come Radu Jude o Apichatpong Weerasethakul, in bilico tra realismo documentaristico e visione onirica. Le scritte sui muri – poesie, slogan, pensieri – diventano tracce di esistenza. «Se vuoi esprimerti in modo anarchico, inizi dai muri. È così in Iran, in Turchia, in Francia. È umano voler lasciare qualcosa di sé», dice.
Il prossimo film: ancora più politico
Kural non ha intenzione di fermarsi. Il prossimo progetto sarà incentrato sulla Turchia e sarà ancora più politico. Per lei, il cinema è uno strumento di lotta, un atto di resistenza. «Ho una telecamera. È la mia arma. Finché posso, continuerò a usarla», afferma. In un contesto dove le democrazie sono fragili e la libertà d’espressione è sotto attacco, voci come la sua sono fondamentali.
«Cinema Jazireh»: una fiaba nera per non dimenticare
«Cinema Jazireh» non è un film che cerca di spiegare, ma di far sentire. Di far immergere lo spettatore nella solitudine, nell’assenza, nella paura, ma anche nella bellezza della connessione umana. È un film doloroso, necessario, potente, che dimostra come il cinema possa ancora essere un gesto sovversivo. Kural ci ricorda che, anche quando tutto sembra perduto, resistere è possibile. E a volte si resiste anche guardando un film, insieme, al buio.