Fabbricante di lacrimeFabbricante di lacrime

Il cinema, come forma d’arte, riesce spesso a suscitare emozioni profonde e riflessioni significative. Purtroppo, non tutti i film riescono a colpire il bersaglio e Fabbricante di Lacrime è un esempio lampante di come un potenziale artistico possa essere vanificato da scelte narrative e performative discutibili. Nonostante un inizio promettente sotto la direzione di un regista visivamente innovativo, il film si perde in un ritmo insostenibilmente lento e in interpretazioni che lasciano molto a desiderare.

Fabbricante di lacrime, un inizio promettente

Il film apre con sequenze che promettono di catturare lo spettatore grazie a una regia curata, che gioca con luci e ombre in modo maestoso, quasi poetico, e una color accattivante. Inizialmente, la cinepresa, tra le mani del regista Alessandro Genovesi, si muove con una grazia che sembra sussurrare una promessa di grandezza, o quantomeno di un’esperienza cinematografica degna di nota. Le prime scene sono costruite con una precisione che fa sperare in un crescendo emotivo e visivo.

La decadenza della narrazione

Tuttavia, questo slancio iniziale si esaurisce rapidamente. La narrazione prende una piega per il peggio, trascinando lo spettatore in un vortice di lentezza che più che costruire tensione, genera noia. Il ritmo del film, inizialmente bilanciato, si perde in scene prolisse che sembrano più interessate a indulgere in una estetica auto-compiaciuta piuttosto che a far avanzare la trama. Questo approccio regista riesce a trasformare quello che avrebbe potuto essere un interessante studio di personaggi in un tedioso esercizio di stile.

Interpretazioni Sotto la Media

A peggiorare la situazione contribuisce una recitazione che varia da mediocre a francamente inaccettabile. I protagonisti del film, soprattutto Caterina Ferioli (Nica Dover) e il rapper Biondo (Rigel), nonostante siano chiaramente guidati da una direzione artistica solida, non riescono a trasmettere le necessarie sfumature emotive richieste dai loro ruoli. Le performance sono rigide, a tratti quasi imbarazzanti, denotando una mancanza di connessione sia con il materiale di partenza che con il pubblico. Invece di portare alla luce la complessità emotiva dei personaggi, gli attori sembrano perdersi in interpretazioni superficiali che lasciano il pubblico distaccato e disinteressato.

Conclusioni

Fabbricante di Lacrime avrebbe potuto essere un film memorabile, ma è stato gravemente ostacolato dalla sua incapacità di mantenere un ritmo adeguato e da performance che non fanno giustizia al potenziale emotivo della storia, nato dal romanzo di Erin Doom. Nonostante l’ottimo lavoro di regia nelle fasi iniziali, il film fallisce nel compito essenziale di ogni opera cinematografica: coinvolgere lo spettatore. Resta, quindi, una visione frustrante, un’occasione mancata che difficilmente verrà ricordata per i suoi meriti, se non come un monito di come anche le premesse più allettanti possano tradire le aspettative.